Rifò: quando dall’usato rinasce il guardaroba

Negli ultimi anni la coscienza dell’uomo nei confronti dell’ambiente e della natura che lo circonda sta lentamente cambiando. Le scioccanti immagini degli oceani con intere isole costituite da rifiuti plastici, gli accumuli di immondizia per le strade e la lenta ma inesorabile decimazione degli spazi verdi hanno fatto sì che si stia ripensando ad uno sviluppo sostenibile della società. L’era del consumo o meglio la plastic society, come qualcuno ha definito la nostra civiltà, ci ha portati sull’orlo di una catastrofe naturale che potrebbe avere ripercussioni terribili sulle prossime generazioni future, ma anche sul futuro imminente. Per fortuna c’è qualcuno che con successo sta cercando d’invertire la rotta e abbracciando le nuove istanze ambientaliste è riuscito a fare business, strizzando l’occhio all’eco-sostenibilità. Un esempio di questa rivoluzione green nel campo dell’Industria Fashion è senz’altro Rifò, brand di moda cosiddetta etica che da fibre tessili di abiti “dismessi” sta mettendo sul mercato una collezione di abbigliamento a basso impatto ambientale e dall’alto coefficiente di stile.

Nel novembre del 2017 Nicolò Cipriani e Clarissa Cecchi, due giovani laureati, lanciarono su Ulule una campagna di crowdfunding spiegando agli utenti il loro progetto. Arrivarono oltre 11.800 euro di preordini e, spinti dall’incoraggiante risultato, vennero precettati dall’incubatore Hubble di Nana Bianca della Fondazione CR Firenze. Partì così il progetto e ad oggi le loro collezioni sono a Km 0, 100% made in Italy e 100% rigenerate. Producendo localmente si limitano tutti i consumi e si creano opportunità di lavoro nel territorio. Forse non tutti pensano al fatto che anche la maglietta che indossano, magari con il marchio di un famoso brand di moda, ha un costo non solo in termini di sfruttamento del lavoro (gran parte di queste industrie producono le loro merci in paesi del Terzo Mondo dove la mano d’opera non è propriamente trattata con guanti di velluto) ma anche di inquinamento dell’ambiente (si pensi ai coloranti chimici).

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Un sovraconsumo e una sovrapproduzione che Rifò sta sfruttando a suo favore, creando dagli avanzi di fabbricazione, dai vestiti usati e dagli abiti vecchi, nuovi prodotti confezionati ex novo. Un circolo virtuoso che consente di risparmiare acqua, ridurre il consumo di prodotti chimici ed evitare l’uso di coloranti, i principali artefici dell’inquinamento derivato da questa Industria. Non a caso gli stabilimenti di Rifò sono a Prato, uno dei centri italiani più produttivi nell’industria manifatturiera tessile e perfetto hub di raccolta per gli scarti derivati dalla lavorazione dei tessuti. Sullo shop di Rifò la scelta è estremamente vasta: dai ponchi ai teli da mare, passando per i golf, tutto naturalmente con tessuto riciclato, dai cappelli alle borse, complemento sempre più richiesto, arrivando persino le sciarpe, un accessorio sempreverde e davvero molto versatile, tornato di moda già nei primi anni 2000 tra i tavoli verdi, nel periodo d’esplosione dell’Hold’em con alcuni ambasciatori d’eccezione dell’uso indoor di questo accessorio come il campioncino Dario Minieri.

 

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Ad oggi sono diverse le aziende che seguono lo stesso concetto di Rifò come Doodlage, un brand creato in India che sembra avere un ottimo grado di bilanciamento tra sostenibilità e innovazione. Lavorando con tessuti eco-friendly come cotone organico, tessuti di fibre di banana e mais, mischiati a scarti di lavorazione di altre grandi industrie manifatturiere, sta cercando di ridurre gli sprechi e limitare i danni sull’eco-sistema. Il vantaggio di questa azienda è la sua posizione geografica, trovandosi nel centro nevralgico della produzione mondiale di tessuti (oltre 40% della produzione del settore viene infatti da India, Bangladesh e Cina).
Altro interessante brand che viaggia sulla stessa lunghezza d’onda di Rifò e Doodlage è Re;Code, un marchio coreano specializzato nel riciclo di materiali decostruiti e salvati dalle discariche come pellami provenienti dagli scarti di produzione degli interni delle auto, copri sedili e airbag dal quali nascono nuove giacche, borse e porta laptop. In Inghilterra Bethany Williams è la portabandiera di questa rivoluzione sociale e con indumenti al 100% sostenibili ha inventato un marchio di discreto successo; è riuscita a coinvolgere nel suo progetto anche alcuni giovani senzatetto che hanno partecipato allo shooting della sua collezione “Women of Change”.